Quando lo stato uccide

Scheda del libro

Dalla condanna dei tutori della legge dopo la «macelleria messicana» della scuola Diaz di Genova alla morte di Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi: un’indagine senza pregiudizi sul pericoloso problema della violenza delle forze di Polizia.
Collana: Tazebao pp. 256 – euro 16,00
Il G8 di Genova, le morti di Carlo Giuliani, Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi... e poi, sparsi nell’ultimo decennio,altri nomi di persone uccise da uomini in divisa, spesso ignoti all’opinione pubblica, ma non a chi piange la scomparsa di un proprio caro.
Errori. Imprudenze. Fatalità. Nelle poche righe che i giornali dedicano alle morti per mano di tutori dell’ordine la spiegazione della tragedia viene in genere archiviata in questo modo, tendendo a dimenticare che dietro ogni caso c’è una storia e che dietro ogni storia ci sono famiglie lasciate sole contro muri di indifferenza o di vera e propria omertà.
Un filo rosso lega i giorni genovesi del 2001 – nei quali la gestione dell’ordine pubblico in Italia ha dato prova di incapacità e approssimazione portando all’estrema conseguenza dell’omicidio di un ragazzo – alle morti più e meno conosciute per mano di agenti di Polizia
registrate dal 2000 fino ai giorni nostri. Quando lo Stato uccide, il pregiudizio dell’innocenza concesso ai responsabili tende a diventare una verità assoluta, sempre e comunque.
Ma forse qualcosa sta cambiando. Il ribaltamento delle sentenze sul G8, il clamore mediatico suscitato dai casi Sandri, Aldrovandi e Cucchi hanno aperto spiragli di giustizia, illuminato verità che sembravano destinate solo a riempire le pagine di denuncia di Amnesty International. Segno evidente che, in rapporto all’ordine pubblico, è giunto il momento di voltare pagina, ricordando la missione di «servizio al cittadino» che dovrebbe animare le forze di Polizia e tornando, finalmente, a parlare di diritti e di garanzie.