venerdì 13 maggio 2011

Caso Daniele Franceschi - Nuovi misteri sul "Diario dalla cella". L'intervento di Bianconi sul Corriere

Oggi il Corriere della Sera (clicca qui per leggere l'articolo) riporta una serie di novità legate al diario che Daniele Franceschi scriveva nella sua cella francese, cella dove ha trovato la morte in circostanze da chiarire. Come in molti casi nostrani, è servita una "madre coraggio", che ha rischiato di essere arrestata in Francia, per accendere i riflettori su questo caso.
Riportiamo l'interessante commento scritto da Giovanni Bianconi sempre sulle colonne del Corriere. E ci uniamo alle sue parole: c'è bisogna di spiegazioni, verità, giustizia anche in Italia, "non per smania di giustizialismo, ma per un banale quanto insopprimibile dovere di giustizia".



Chiarezza sulla fine di Franceschi (e su quelle morti in carcere)
di Giovanni Bianconi - Corriere della Sera - 12 maggio 2001

Che cosa contenevano le pagine strappate del diario dell’ultimo mese di vita di Daniele Franceschi, il trentaseienne italiano morto il 25 agosto scorso nel carcere di Nizza dopo cinque mesi di detenzione?
Forse niente di rilevante, o forse molto. Forse solo qualche indizio per capire una storia ancora inspiegabile e inspiegata. In ogni caso, è inquietante che quelle pagine siano sparite. E basta il dubbio che siano state sottratte per nascondere qualcosa di indicibile per chiedere (e bisognerebbe dire pretendere) che la nuova denuncia dei familiari di Franceschi non cada nel nulla. Dopo la sua morte avvenuta per «arresto cardiaco»,espressione che non spiega nulla giacché tutti se ne vanno per quel motivo, il cadavere arrivò in Italia svuotato. «Privo degli organi» , spiegò il medico legale. C’era anche in quel caso qualcosa da celare? In una lettera restituita ai familiari insieme al diario strappato Franceschi avrebbe chiesto aiuto, sostengono i suoi familiari, e sollecitato accertamenti medici. Perché? Quando fu arrestato per uso improprio di carte di credito nel Casinò di Cannes stava bene. Che cosa è successo in prigione? Sono domande a cui non solo i parenti della vittima, ma l’Italia avrebbe diritto a una risposta. Tanto più da un Paese amico come la Francia. Il ministro della Giustizia Alfano è già stato sollecitato ad acquisire le informazioni necessarie a fare luce. Forse anche il ministro degli Esteri potrebbe fare un passo. Ma qualunque mossa in questa direzione avrebbe maggior valore se nel frattempo in Italia si riuscisse a ottenere un po’ di verità sui detenuti morti nelle patrie galere. O nei posti di polizia. Da Stefano Cucchi, per il quale il processo è alle battute iniziali, al caso di Giuseppe Uva, per cui un eventuale giudizio è ancora di là da venire, a tutte le altre persone morte mentre erano custodite nelle strutture dello Stato. Forse colpevoli di qualche reato o forse no, non importa. Quel che non è tollerabile è che una persona consegnata alle strutture pubbliche entri viva ed esca morta; e se ciò si verifica, che l’accaduto rimanga senza spiegazioni e conseguenze. Non per smania di giustizialismo, ma per un banale quanto insopprimibile dovere di giustizia.

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