venerdì 13 maggio 2011

Lo Stato uccide anche così, lasciando degli innocenti in carcere: il caso di Giuseppe Tinelli

Lo Stato uccide anche così, lasciando degli innocenti in carcere....

dal sito http://www.toghechesbagliano.com/index.html

Il caso di Giuseppe Tinelli: La storia di un innocente?
di Martina Lacerenza

C’è un ragazzo in carcere da 13 anni, Giuseppe Tinelli, accusato di aver ucciso 2 persone. “Non ho mai commesso quegli omicidi”, continua a ripetere da anni. Nel 2006 un serial killer confessa: “le ho uccise io quelle persone, lui è innocente”. Che ne è di Giuseppe? È ancora in carcere. Nonostante siano passati 4 anni da quella confessione che lo scagionerebbe, Giuseppe resta in prigione. Nessuna sospensione della pena. Nessuna revisione del processo. Nessuna indagine riaperta su una vicenda che, in quanto a chiarezza, fa acqua da tutte le parti. E intanto il tempo passa e Giuseppe ha già tentato il suicidio due volte.

Quanti attuali ministri e politici conoscono questa vicenda? Quanti di loro sanno qualcosa di questo ragazzo?
Tinelli è una di quelle 8 persone che nel 1997 vennero arrestate e condannate con l’accusa di aver ucciso delle donne tra la Puglia e la Basilicata, il “caso Sebai”, che il Democratico sta seguendo costantemente.
“Quando Giuseppe venne arrestato era un minorenne, aveva 17 anni, dei problemi evidenti, un’infanzia difficile, un’istruzione scarsissima. Un ragazzo di 17 anni che fece una confessione in assenza di un pubblico ministero e di un avvocato”, dice il suo legale, l’avvocato Defilippi.
Queste parole, da sole, già basterebbero a destare una perplessità più che fondata sul rispetto dello stato di diritto. Ma non è tutto.
“Tinelli ha confessato due volte, per due omicidi. Queste confessioni sarebbero il risultato di interrogatori lunghissimi in cui, come dicono tutti i miei assistiti, si sono verificate delle “forti pressioni”. Mancano gli elementi di riscontro. In tutto questo il serial killer continua a dire di essere l’unico responsabile, che gli altri non c’entrano niente, che ha sempre agito da solo. Ma a Tinelli hanno dato l’ergastolo. I giudici non credono al killer. Ma le indagini, di fronte a questi elementi, vanno riaperte. Va fatta chiarezza. Lo Stato non può condannare degli innocenti”.
L’avvocato Defilippi è riuscito, dopo anni, ad ottenere la revisione del processo di Vincenzo Faiuolo, l’unico degli 8 ancora in carcere insieme a Tinelli. Il legale si auspica che lo stesso avvenga anche per la situazione di Giusepppe. Ma i tempi della giustizia e della burocrazia italiana, anche nel caso della revisione, potrebbero dilatarsi e durare anni.
“La revisione potrebbe durare un anno e mezzo, due: nel frattempo vogliamo almeno la sospensione della pena”, dice Defilippi riferendosi alla posizione di Faiuolo, “quanto può durare infatti una sospensione? È giusto che nel frattempo Vincenzo aspetti 2 anni in carcere?”.
Una risposta e un parere da parte del ministero della Giustizia sarebbero davvero graditi.
E proprio secondo un rapporto del ministero della Giustizia emerge che, su 53.000 detenuti complessivi, 16.740 sono in attesa del primo giudizio, 9.600 dell’appello, 3.200 del giudizio della Cassazione. Il tempo, per chi si trova in carcere e magari è innocente, scorre in un modo molto diverso rispetto a chi vede la luce del sole, a chi si muove, corre o respira nel pieno diritto della libertà. Secondo un calcolo compiuto dall’Eurispes, nell’arco degli ultimi cinquant’anni sarebbero 4 milioni gli italiani vittime di errori giudiziari, dichiarati colpevoli, arrestati e solo dopo un tempo più o meno lungo, rilasciati perché innocenti: dal dopoguerra al 2003 quattro milioni di persone sono state vittime di errori giudiziari o ingiusta detenzione o prosciolti perché il fatto non sussiste. Questo enorme numero è già vicino ai quattro milioni e mezzo, se esteso al tempo odierno. Per quantità si tratta dell’intera popolazione di Toscana e Umbria messe insieme.
Dal 1992, inoltre, c’è la possibilità, per gli innocenti ritenuti colpevoli e poi rimessi in libertà, di chiedere e ottenere un risarcimento per ingiusta detenzione. Ogni tanto lo Stato paga: il ministero dell’Economia conteggia in 213 milioni di euro i soldi sborsati nel periodo 2004-2007 per risarcire le vittime di errore giudiziario e per custodia cautelare ingiusta (il grosso del malloppo). I risarciti sono 3.600: il 90% italiani, il 10% stranieri, perché si difende chi può. http://www.errorigiudiziari.com/
La storia di Giuseppe interessa tutti da vicino, non solo da un punto di vista umano, ma perché è connessa, direttamente o indirettamente, al modo in cui opera la giustizia nel nostro Paese.
Un’attenzione particolare va data alla famiglia. Gente del sud, che vive a Massafra, un paesino pugliese in provincia di Taranto che conta poco più di 11.000 abitanti.
Elena, la sorella di Giuseppe, al telefono non nasconde la sua rabbia: “non so cosa dire. Non so perché hanno arrestato delle persone innocenti, ce l’hanno con noi, non so perché. Parlo di tutti.. perché hanno fatto schifo. Io sono la sorella, sto più male di tutti…vedere i miei genitori che soffrono così. Poi l’hanno trasferito, forse l’hanno fatto apposta, sono 2 anni che non lo vediamo, due anni che non vediamo Giuseppe. Nessuno ci ha detto perché l’hanno trasferito”.
Queste persone, proprio in quanto persone e, quindi, al di là della vicenda stessa, meritano più rispetto e considerazione.
Non si può capire cosa vuol dire far parte di una realtà che vede calpestati i propri diritti, che si sente abbandonata dalle istituzioni, che è sola in questa storia che dovrebbe essere riportata all’attenzione di tutti. Il senso comune dovrebbe offrire solidarietà verso chi è meno fortunato, comprensione. Dovrebbe essere spontaneo in un Paese stringersi intorno al dispiacere di chi, senza un vero sostegno esterno, convive ogni giorno con la rabbia per la sensazione di vivere in uno Stato che se ne frega di storie come questa. Lo Stato dovrebbe tutelare i diritti di tutti e garantire e vigilare affinché la giustizia si compia in modo chiaro e netto, senza dubbi, dato che si tratta della vita dei suoi cittadini. Gli avvocati delle due parti scrissero più volte e si rivolsero ai politici e alle istituzioni, ma non ottennero mai alcuna risposta. Queste persone vanno ascoltate perché se ci sono stati effettivamente degli errori giudiziari è giusto che lo Stato riconosca di aver sbagliato.
E la mamma di Giuseppe chiede proprio questo: “voglio fare un appello alla giustizia perché siamo innocenti, non so perché ci hanno incolpato”. Non aggiunge altro, vuole solamente “capire”.
Capire perché nessuno le ha spiegato il motivo del trasferimento di suo figlio, che non vede da due anni. Capire perché a nessun giudice interessa chiarire come stanno veramente le cose e riaprire il processo, essendo una storia così densa di elementi che, quanto meno, fanno sorgere dei dubbi in merito alla condanna che è stata data a Giuseppe. Un minorenne arrestato, una confessione estorta in assenza di avvocato, mancanza di riscontri, un’ammissione di colpa di un killer…
Se fossi un giudice, io due domande me le farei.

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